Ricercatori dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia e colleghi dell’Università degli studi di Milano rivelano fondamentali conoscenze sui meccanismi predittivi del rischio dell’aterosclerosi coronaria e dell’infarto del cuore. Sono mutazioni geniche dell’enzima aciltransferasi LCAT ad avere impatto sulle lipoproteine HDL responsabili della protezione della parete dei vasi arteriosi. Gli studi su una ricerca multicentrica sistematica dei portatori di difetti di LCAT in Italia e sull’aspetto molecolare del difetto enzimatico pubblicati sull’importante rivista scientifica Circulation.
Studi condotti da ricercatori dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia e dell’Università di Milano sul ruolo protettivo delle lipoproteine HDL (le lipoproteine ad alta densità “High Density Lipoproteins” che nel sangue trasportano il così detto “ colesterolo buono” ) consentono di aprire nuove prospettive nella prevenzione dell’aterosclerosi.
Gli studi epidemiologici hanno da tempo dimostrato un’associazione inversa fra i livelli nel sangue delle lipoproteine HDL ed il rischio dell’aterosclerosi coronaria e l’infarto del cuore, tanto che comunemente a livello clinico bassi livelli di lipoproteine HDL (definite anche lipoproteine anti-aterogene) rappresentano un importante fattore di rischio riguardo futuri negativi eventi cardiovascolari.
Tuttavia, vi sono disordini genetici caratterizzati da bassi livelli di lipoproteine HDL che non sembrano essere associati a maggiore incidenza di malattie cardiovascolari su base aterosclerotica.
Questa osservazione ha suggerito ai ricercatori del laboratorio di genetica delle dislipidemie del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, diretto dal prof. Sebastiano Calandra Buonaura, e del Dipartimento di Scienze Farmacologiche dell’Università degli studi di Milano, coordinato dai proff. Laura Calabresi e Guido Franceschini, di focalizzare la ricerca su un raro difetto genetico del metabolismo delle lipoproteine HDL, denominato “LCAT deficiency”, dovuta alla mancanza o difetto di funzione di un enzima (denominato lecitina-colesterolo aciltransferasi LCAT) presente nel sangue.
“I portatori di questo difetto enzimatico – fa presente il prof. Sebastiano Calandra Buonaura dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia - hanno livelli di lipoproteine HDL da 2 a 6 volte più bassi rispetto ai soggetti normali non portatori”.
Al fine di chiarire se questi individui fossero esposti ad un maggiore rischio di malattie cardiovascolari, la prof. ssa Laura Calabresi ed il prof. Guido Franceschini dell’Università degli studi di Milano hanno avviato un ricerca multicentrica sistematica dei portatori di difetti di LCAT in Italia. Grazie alla collaborazione di diversi centri ospedalieri, distribuiti sull’intero territorio nazionale, è stato possibile raccogliere 40 portatori di mutazioni del gene LCAT appartenenti a 13 famiglie italiane.
“Lo studio – chiarisce la prof. ssa Maria Grazia Modena, direttore della Struttura complessa di Cardiologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena - è di elevato impatto non solo scientifico ma anche pratico, in quanto che i <bassi valori> di HDL vengono visti come fattore di rischio senza attuali possibilità terapeutiche (non esistono farmaci che le alzino) e l’unica <terapia> è l’attività fisica. Accade, inoltre, che ricoveriamo in Cardiologia soggetti, quasi sempre giovani, in cui l’unico fattore di rischio è appunto il basso valore di HDL. Questa ricerca ci apre nuovi orizzonti interpretativi, diagnostici e prognostici”.
Lo studio biochimico, molecolare e clinico di questi individui ha permesso di stabilire che essi non presentano segni di danno vascolare di tipo aterosclerotico, stimato attraverso sofisticati metodi di indagine vascolare non invasivi, coordinati dal dott. Damiano Baldassare (del gruppo della prof.ssa Calabresi) rispetto ad individui con livelli normali di lipoproteine HDL nel sangue.
Contestualmente un gruppo di ricercatori modenesi, sotto la guida del prof. Sebastiano Calandra Buonaura, si è dedicato alla ricerca dell’aspetto molecolare del difetto enzimatico, col compito in particolare di costruire in laboratorio vettori molecolari che consentissero di valutare gli effetti funzionali dei vari tipi di mutazioni del gene LCAT, trovati nei soggetti portatori del difetto.
Questo lavoro, che ha comportato la preparazione in laboratorio di ben 10 vettori molecolari, è stato condotto dalla dott. ssa Letizia Bocchi e dalla dott. ssa Chiara Candini, studentesse frequentanti il Dottorato di Ricerca in Biotecnologie e Biologia Molecolare (Università di Ferrara) e Medicina Molecolare e Rigenerativa (Università di Modena e Reggio Emilia). Questi vettori molecolari hanno permesso di verificare in vitro l’effetto biologico di queste mutazioni geniche ed il loro impatto sulle lipoproteine HDL.
“Lo studio – afferma il prof. Sebastiano Calandra Buonaura - suggerisce che la protezione delle lipoproteine HDL nei confronti dell’aterosclerosi non è tanto in relazione ai livelli di queste lipoproteine nel sangue, ma piuttosto alla presenza nell’ambito di questa popolazione di macromolecole di una famiglia di HDL <funzionali>, che sono responsabili della protezione della parete dei vasi arteriosi”.
La caratterizzazione molecolare e funzionale di questa speciale famiglia di HDL, è l’obiettivo di studi attualmente in corso di svolgimento, che potrebbero fornire ulteriori e più sicure conoscenze predittive riguardo al ruolo delle lipoproteine HDL nella prevenzione di aterosclerosi e dell’infarto.
“La ricerca sanitaria in senso lato – fa presente la Preside della facoltà di Medicina e Chirurgia prof. ssa Gabriella Aggazzotti - può essere schematizzata in fasi successive: dall’approccio in laboratorio (“bench”), alla sperimentazione clinica controllata (“bed”), alla applicazione dei risultati alla comunità (“community”). Già da alcuni anni diversi ricercatori della facoltà di Medicina e Chirurgia che svolgono attività di docenza in discipline di base stanno affrontando il problema del trasferimento dei loro risultati scientifici alle problematiche assistenziali mediante collaborazioni con docenti di discipline cliniche. Vengono applicati in tal modo i principi della così detta <medicina traslazionale>, settore di ricerca che studia come rendere più efficaci gli interventi diretti ai pazienti sulla base delle più recenti acquisizioni scientifiche ottenute in laboratorio, o comunque in contesti non assistenziali. I risultati dello studio al quale ha contribuito in modo sostanziale il prof. Calandra stanno a dimostrare come queste collaborazioni siano estremamente proficue. La ricognizione delle linee di ricerca che la facoltà di Medicina e Chirurgia sta avviando in questo periodo permetterà di evidenziare il quadro completo relativo agli studi condotti dai ricercatori delle scienze di base e i più importanti risultati finora ottenuti”.
L’interesse scientifico, molto vasto, suscitato da questi studi che dischiudono la strada per la prevenzione di alcune delle malattie cardiovascolari più frequenti, è testimoniato dall’attenzione che ha dedicato ad essi la rivista americana “Circulation”, che nel numero del 18 agosto scorso ha dedicato un editoriale di commento all’articolo di presentazione dello studio fatto dai ricercatori modenesi e milanesi, che è stato reso possibile dal contributo di Telethon, dai fondi del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica, e dal supporto tecnico del laboratorio di analisi dei geni LABGEN del Dipartimento di Scienze Biomediche e dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena.
“Questa ricerca – commenta il prof. Sebastiano Calandra Buonaura - conferma l’importanza di creare collaborazioni fra diversi laboratori per integrare le molteplici competenze richieste per affrontare un problema scientifico nell’ambito dei difetti enzimatici rari”.
“I risultati oggi presentati danno ancora maggior concretezza alla scelta compiuta dalla attuale Direzione Generale della Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico di Modena di ampliare la propria collaborazione oltre ai Dipartimenti strettamente clinici ed assistenziali della Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia anche agli altri Dipartimenti, al fine di legare sempre più la ricerca pre-clinica alla ricerca clinica, ampliando le conoscenze e le potenzialità di intervento diagnostico e terapeutico a campi innovativi quali la biologia molecolare e lo studio del genoma” . Ha concluso il dottor Maurizio Miselli, Direttore Sanitario dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria Policlinico di Modena.
Modena, 29 settembre 2009
Ufficio stampa